Virginia Woolf è figlia della sua epoca. È l’inizio del secolo, la tecnica avanza e l’umanità si catapulta in un futuro di rivoluzioni e avanguardie. «Una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi» è una delle frasi più famose di virginia Woolf. Eppure, i sogni di progresso sono circondati da una realtà cruda, dura, squallida. Una realtà antitetica rispetto alle aspirazioni contemporanee: guerre, pandemie, carestie, crisi economiche, diseguaglianza sociali.
Virginia Woolf è uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Innova il romanzo moderno utilizzando la tecnica del monologo interiore. Sperimenta: fa esprime i pensieri dei suoi personaggi con un flusso di coscienza continuo, superando le strutture di spazio e di tempo.
Virginia esprime lungo tutta la sua esistenza un malessere verso il mondo esterno. Un mondo che a tratti sente idilliaco (è famoso il suo amore per la campagna inglese), ma a tratti sente sull’orlo della catastrofe. Di conseguenza cresce in lei anche malessere interno che la porta a crisi depressive continue. Si sente ripudiata dal mondo e il mondo la ripudia. Il dialogo mancato la porta spesso a fratture incolmabili: Virginia, il 28 marzo del 1941, si riempie le tasche di sassi e si lascia annegare in un fiume.
Il gesto, come leggeremo più avanti nella sua ultima lettera, è sovversivo e straniante. È una immagine potente che ci lascia in eredità. Oggi, nel nostro inizio di secolo così simile a quello dell’epoca di Virginia, quella immagine riecheggia. Ci troviamo immersi in una realtà antitetica: il sogno del progresso e dell’evoluzione tecnica da una parte e i problemi tangibili che crisi economiche, catastrofi e pandemie ci portano nella vita di tutti i giorni.
Cosa farebbe questa volta Virginia Woolf?

Virginia Woolf, 4-Up Pop Art Style Portrait by Clifford Hayes | Hayes Design
La vita e le opere di Virginia Woolf
Adeline Virginia Woolf nasce a Londra il 25 gennaio 1882. Insieme alla sorella riceve una educazione chiusa tra le mura domestiche secondo la regola educativa vittoriana. I fratelli, invece, studiano a scuola e frequentano poi l’università di Cambridge. L’adolescenza è contorniata da episodi familiari traumatici. Le muoiono prematuramente la madre, il padre e una sorellastra. Subisce ripetuti stupri da parte del fratellastro. In questo contesto si affacciano le prime crisi psicologiche che la porteranno a tentare il suicidio due volte, in concomitanza con le morti dei genitori.
Un momento di tranquillità arriva quando si trasferisce con i fratelli nel quartiere di Bloomsbury. Qui prende vita il Bloomsbury Group, gruppo di intellettuali che influenzò per oltre un trentennio la cultura inglese. In questo contesto conosce il marito Leonard Woolf. Sono anni appassionati: il giornalismo, l’attivismo politico nel movimento delle suffragette, le ripetizioni serali alle operaie.
Nel 1917 compra la casa di campagna Monk’s House, immersa nella campagna del Sussex. Qui, insieme al marito, fonda la casa editrice Hogarth Press. Pubblicano, tra gli altri, opere di Italo Svevo, Sigmund Freud, James Joyce . Nel 1925 Virginia dà alle stampe la sua opera più famosa: La signora Dalloway. Nel 1927 esce Gita al faro. L’anno successivo Orlando, ispirato dalla storia d’amore che intrattiene con Victoria Sackville-West. In Una stanza tutta per sé, pubblicato nel 1929, approfondisce il tema della discriminazione del ruolo della donna.

Mok’s House | Sussex, England
La malattia mentale
La malattia di Virginia era legata alla pubblicazione dei suoi libri. Dopo aver dato alle stampe una sua opera soffriva di insonnia. Il nervosismo non la lasciava mai, né di notte né di giorno. La mente produceva un logorio continuo che arrivava all’ossessione, a forme maniacali e allucinazioni. Dopo questi periodi di esaltazione arrivavano sempre, puntuali, lunghi periodi di depressione caratterizzati da anoressia e voglie suicide.
Se da una parte Virginia descrive quei momenti come terribili, dall’altro li sente quasi come necessarie esperienze mistiche. Scrive: «È come scendere dentro un pozzo senza nulla che ci protegga dall’assalto della verità. Non è con se stessi che si resta, ma con qualcosa nell’universo».In quei momenti entra in contatto con le sue emozioni più forti e vere. Le stesse emozioni che poi riesce esprimere attraverso la sua Arte. Uno spiraglio di luce nel buio della follia.

Elizabeth Taylor, moglie triste e disillusa in Chi ha paura di Virginia Woolf
L’ultima lettera di Virginia Woolf
«Carissimo,
sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai, lo so. Vedi, non riesco neanche a scrivere come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi»
